Rubini, dolci ricordi…

Rubini, dolci ricordi…

01/31/2014 Off Di dilorenzo

Ricordare Cesare Rubini è per me ripercorrere i momenti più belli della mia carriera come allenatore.
Rubini era un mio mito fin da piccolo quando iniziai a giocare a basket, mi allenavo da solo in giardino giocando con un canestro ed immaginando giocatori ed avversari, il Simmenthal era la mia squadra preferita, giocavano tutti da Riminucci e Pieri a Masini, Vittori, ma anche Papetti e Gaggiotti gli ultimi della panchina.
Ricordo le prime partite in Tv con la voce di Aldo Giordani, la finale di Coppa Campioni con il mitico Bill Bradley.
Lo conobbi tanti anni dopo, ero un giovane allenatore di 26 anni, a Rieti ci convocò, ero con Gianni Piccin, in una stanza scura ci comunicò che avremmo fatto da assistenti ai Centri di Addestramento Sud a Montecatini e Nord a Gorizia, poche parole, con il suo vocione, la gioia che sprizzava da tutte le parti.
Lo incrociavo nelle varie occasioni in cui collaboravo con il Comitato Allenatori nei clinic ma poche parole, avevo un grande rispetto ed ero un po’ intimorito da lui.
Nel 1985 il secondo incontro a Firenze, era arrabbiato perché durante un suo intervento al clinic qualcuno aveva osato fischiare, chi c’era ben ricorda come fulminò tutti con una sonora imprecazione che zitti la platea di oltre 800 allenatori che restarono in silenzio a seguire fino in fondo la sua relazione. Si rivolse a me nell’atrio del palazzo in modo secco: “di Lorenzo, Bianchini ha detto che ti vuole come assistente per il viaggio in Cina, ringrazia Puglisi! Io non ti conosco, vedremo…! Ma ricordati che in nazionale non si parla, nessuno deve sapere cosa noi diciamo!” Io non credevo alle mie orecchie. Un ricordo dolcissimo fu la prima volta che mio padre dopo 19 anni di basket mi abbracciò e mi fece i complimenti!
Fu una esperienza stupenda da Hong Kong a Pechino, a Shangai, a Nanchino per poi tornare a Pechino, mille ricordi, me ne tornano in mente due in particolare. Il primo a Shangai in cui evitai a Luisella, sua moglie, di essere travolta da una bicicletta e lei mi elesse suo salvatore! Lo chiamava “dromi” per la sua andatura che, diceva, gli ricordava un dromedario. Il secondo fu alla fine dell’ultima partita vinta con la Cina in un palazzetto da 20mila persone stracolmo. Preparammo la partita con una zona adattata che Valerio Bianchini fece spiegare a me negli spogliatoi, quando tornammo felici per la vittoria Rubini mi chiamò e mi disse: “di Lorenzo non pensavo fossi così bravo, complimenti!” Mi squagliai!
Quell’inverno dopo poche partite mi affidarono la squadra dopo l’esonero di Pentassuglia, incontrai Rubini in aeroporto, a Fiumicino, lui arrivava con un aereo e io partivo, lasciò il suo gruppo attraversò la pista e mi venne a dare lo in bocca al lupo, con gli addetti alla pista che lo rincorrevano.
Lo ricordo al nostro primo incontro a Zagabria, nel 1989, quando fui assunto al Settore Squadre Nazionali, ormai con me era quasi affettuoso, in un modo molto simile a quello di mio padre, burbero, ma sempre pronto a dire la parola giusta, anche lui di poche parole.
Iniziai ad allenare insieme a Mario Blasone, una scuola dura ma formidabile e ad ogni occasione Rubini non perdeva occasione per ripeterci che a lui non interessava vincere ma voleva che creassimo giocatori per la nazionale A.
Passammo molti giorni a Fontane Bianche, vicino Siracusa per la preparazione al primo Mundialito Under 20, l’albergo era sulla spiaggia ma sperduto, per cui si decise di prendere un’auto a noleggio, fummo inviati a ritirarla ma con gran sorpresa non risultava niente… Rubini cominciò ad arrabbiarsi poi alla fine scoprimmo che la macchina era stata prenotata ma a… Syracuse, nello stato di New York e tutto fini in una grande risata. Altro episodio divertente, ma mica tanto…, fu quando osai passargli il sale! “Ma che napoletano sei, non si fa mai così mettilo sul tavolo…” volevo scomparire.
Quell’estate, il giorno del mio esordio da capo allenatore a Bormio, dovetti scappare perché morì mia mamma e lui come sempre chiamò con grande affetto. Ero l’assistente ma lui volle che preparassi una relazione su tutti i giocatori segnalando quelli che, a mio parere, erano da nazionale A. Ricordo segnalai Ale Frosini, che Mario Blasone, aveva scovato a Castelnuovo Berardenga, negli anni lui ricordò questa cosa.
Iniziammo le frequentazioni in nazionale e nelle riunioni, sempre contenuto ma poche parole bastavano. L’estate del 1990 fu quella del titolo Juniores come assistente di Blasone, una grande esperienza per me, molto pesante perché Mario era molto esigente, al ritorno mi invitò a Positano, al Villa Murat, dove lui era solito passare una settimana di riposo settembrino, fu una esperienza bellissima, veramente un padre, mi ascoltò, commentò poco, ma cambiarono molte cose tra di noi.
L’anno successivo fui scelto come assistente di Sandro Gamba per gli europei di Roma, una manifestazione straordinaria, arrivammo in finale perdendo contro l’ultima nazionale della Jugoslavia unita, davanti a 15mila spettatori. Eravamo in un bellissimo hotel alle spalle del Pantheon con una macchina solo per noi con cui andavamo ad allenarci al Palaeur, Sandro e Tonino Zorzi mi chiamavano sempre Pulicano… ed un giorno l’autista che ci accompagnava, non vedendomi chiese a Rubini; “Ma oggi il signor Pulicano non viene con noi?” grandissima risata e sfottò per vari giorni.
Trionfo alla fine e fu lui che si adoperò a trovare la medaglia per me ed un altro paio di persone che non l’avevano ricevuta.
Fu il primo a cui telefonai quell’estate dopo la grande vittoria dei ragazzi del 1974 ai Campionati Europei Cadetti, ma come sempre lui mi riportò con i piedi a terra quando alla riunione post estate mi richiamò con forza perché non avevo messo davanti a tutti la Federazione ed i suoi componenti che avevano permesso con il loro lavoro di arrivare a quel successo.
In quella riunione si discusse se far continuare il programma con i ragazzi del 1975, che per una scelta della FIBA, erano stati esclusi dagli europei, qualcuno suggeriva di risparmiare, ma Rubini mi chiese con il suo vocione: “di Lorenzo ma questi giocatori possono diventare buoni per la nazionale?” Alla mia risposta affermativa confermò il programma. Da quel gruppo sono arrivati Galanda, Marconato, Scarone, Damiao…
Nel 1993 mi chiamarono con la nazionale Militare che veniva da due anni di mancati successi, c’era anche il problema Moretti, che avrebbe dovuto allenarsi e giocare con la Nazionale A, io avrei dovuto vincere ma tenere fuori Paolo. Era facile perché la squadra era comunque fortissima, l’unico problema era il Colonnello Magrini che ad ogni costo avrebbe voluto Moretti, alla fine ci riuscimmo e come sempre lui fu tra i primi a complimentarsi.
Mi piaceva sempre fargli gli auguri per il suo compleanno, anche se lui non gradiva… anche perché coincidevano con il giorno dei morti, ma alla fine sapevo che era contento.
Uno degli ultimi ricordi è ad una riunione del CNA a Bologna dove venne in quanto Presidente Onorario, volle che mi sedessi vicino a lui, era amareggiato per l’incredibile ostracismo che veniva fatto ad Ettore e per la mediocrità di certe questioni, anche quella volta poche parole secche che arrivarono al centro della questione, ma purtroppo alcuni dei presenti erano fatti d’acqua e si fece finta di niente.
Fu l’ultima volta che lo vidi, ci parlai a telefono alcune volte, gli ultimi anni parlavo solo con Luisella, l’adorata moglie, con cui avevo un rapporto speciale dopo il viaggio in Cina, e lei mi raccontava, accoratamente, di lui, era uno strazio per me, che con il passare degli anni sono un po’ diventato come lui, commuovendomi alle lacrime quando sento una emozione forte.
L’ultimo saluto fu al suo funerale, non potevo mancare, arrivammo io e Dante De Benedetti, in quella enorme chiesa piena di quelli che lo avevano amato e rispettato, un giorno difficile ma uno come Rubini resta dentro.
Oggi con il libro rivivo la sua storia e vorrei far conoscere ai ragazzi d’oggi quest’uomo straordinario nella sua grandezza ma soprattutto nella concretezza di tutto ciò che ha fatto, certo che mi guardi da lassù!