Torino, Rio, lo sport di base: le mie riflessioni.
07/14/2016Ne ho lette e sentite tante in questi giorni e provo a dire la mia. Deluderò coloro che si aspettano una disamina sui giocatori, sul gioco, su Messina, perché voglio affrontarla diversamente. Parlo della base, perché da lì nasce tutto. Come qualcuno ha scritto, andando a Rio avremmo sicuramente dato un bell’impulso, ma non sarebbe cambiato un trend negativo che rischia veramente di far affondare non solo il basket, ma quasi tutto lo sport di base: la sostenibilità del Sistema Sport in Italia.
Con la congiuntura economica negativa gli sponsor sono sempre più lontani dallo sport, soprattutto da quello di base, gli Enti Locali sono strozzati e quindi i costi per le strutture sono sempre più alti, e i contributi (che fino a 10-15 anni fa arrivavano da Province e Regioni) sono scomparsi. Il sistema fiscale ha preso di mira il mondo del No Profit e chi lo finanzia, con un incremento esponenziale di controlli e sanzioni.
«Sulla questione si auspica una presa di coscienza sia da parte degli attori del non profit circa la necessità di investire in sistemi che garantiscano trasparenza nella gestione dell’ente, sia da parte dell’amministrazione finanziaria che potrebbe considerare il mondo del volontariato quale effettivamente è: una risorsa per la collettività. Giunti a questo punto occorre farsi una domanda: dopo tutto questo, in mancanza di un cambio di rotta da parte di entrambi i soggetti in campo, dove porteremo i nostri ragazzi a fare sport? Forse in qualche parcheggio di aziende ormai chiuse»
(tratto da un articolo pubblicato su ItaliaOggi).
Ma perché dico tutto questo? Perché il basket in Italia si basa sulle Associazioni Sportive Dilettantistiche, sui privati, e spesso ce lo si dimentica.
La legge Bosman ha colpito in modo deflagrante, il professionismo ha portato all’abbandono dei vivai, all’introduzione dello svincolo, dei parametri, e quindi all’impossibilità di rendere sostenibili le spese dei settori giovanili a partire dalle società più piccole fino ad arrivare alle più grandi. Ed in Italia ciò è successo in modo molto più netto che in Europa, dove lo sport di base vive nella scuola, dalla Spagna con il suo sistema misto alla Francia con il suo Ministero dello Sport e l’INSEP.
Qualcuno si lamenta dei parametri e ne propone l’abolizione. Benissimo, spiegatemi perché una società dovrebbe lavorare sul settore giovanile? Purtroppo è un sistema che funziona male e da qualche anno, con la folle suddivisione annuale dei parametri, ha smesso di funzionare. Perché? Con i ragazzi nati fino al 1997 era possibile, arrivati a 19-20 anni, cedere l’intero diritto sportivo ad una società che poteva pensare di utilizzarlo in prima squadra senza dover pagare il parametro. Con il cambio approvato a partire dai nati nel 1998 chi acquista i diritti di un 19enne deve comunque pagare il 70% del parametro. Come se non bastasse si sta parlando di abbassare l’età di svincolo a 20 anni! Ma se non riescono a giocare neanche a 21 anni, mi chiedo cosa succederà.
Ritorno ai commenti di questi giorni: “nessuno insegna i fondamentali, non ci sono istruttori, se sono bravi giocano comunque, è inutile imporre gli under“. Io non sono d’accordo perché secondo me ci sono oggi giovani istruttori in gamba, come lo erano quelli che poi sono diventati grandi allenatori oggi (con la differenza che loro avevano davanti grandi esempi e società che li aiutavano a crescere), ed insegnano i fondamentali come e più di prima. I giocatori d’oggi a 18 anni sono più forti e completi di quelli di 20 anni fa. Il problema è che una volta, e parlo degli anni Novanta in cui io ero al SSN, questi ragazzi continuavano la loro crescita avvicinandosi alle prime squadre o in serie minori, ma sempre controllati dalle società di provenienza. Potrei fare tanri esempi di giocatori che si sono sviluppati progressivamente. Quanti sono stati quelli pronti già a 18 anni, soprattutto tra i lunghi? E questo è l’altro problema: non possiamo preparare per la maturità i nostri ragazzi e poi non prevedere le commissioni d’esame e l’università.
Ero in Consiglio Federale quando fu votato lo svincolo e lottai strenuamente perché fosse applicato ai 23 anni, proprio per permettere una crescita graduale dei ragazzi. L’allora presidente della Lega Basket si rifiutò dicendo che sarebbe saltata la convenzione con la FIP. Come risolvere il problema non è cosa facile. Sicuramente si deve trovare una soluzione per l’attuale norma dei parametri che penalizza le piccole società e disincentiva chiunque a reclutare ragazzi con la prospettiva di dover poi continuare a pagare buona parte del parametro.
Tutto questo non è facile da risolvere legalmente ma deve essere materia di studio per i legali della Federazione e del CONI, partendo dallo status quo, o così si affoga.
Mi rendo conto di aver fatto un discorso abbastanza complesso, ma se non si rende sostenibile il lavoro nei settori giovanili non vedo perché qualcuno possa investirci risorse economiche ed umane.
Non è una situazione semplice da affrontare, credo che il problema della sostenibilità lo hanno tutte le federazioni, quindi tutte insieme al CONI dovranno trovare una strada da proporre al Governo, una strada che tenga conto delle enormi ricadute che ha lo sport nella crescita dei giovani. Non si può pensare di imitare altre nazioni, viste le enormi difficoltà strutturali ed economiche della scuola italiana.
Si vuole puntare sulla Scuola? Ci vuole un programma, per lo meno decennale, sulle strutture per fare si che la scuola possa diventare la base da cui partire, per poi trovare le risorse per coloro che dovranno insegnare sport. In Gran Bretagna è stato fatto. Ma nel frattempo si dovrà trovare una soluzione ponte, perché tra 10 anni potremmo trovare il deserto!
Per anni il Sistema Sport italiano è stato copiato e ha prodotto campioni, adesso si dovrà partire da quello per trovare nuove soluzioni.